Il 12 agosto nel Chiostro Francescano della Chiesa Madre di San Fratello
«Ricomincio da nove. Lascio Roma portando con me nove
copioni nel cassetto. Voglio vedere realizzato il Benedict, il film che inseguo
da dieci anni». Ecco i progetti di Carlo Cotti, regista di San Giuliano
Milanese, per i suoi settant’anni intellettualmente vulcanici. «Sto girando l’Italia,
la Sicilia in particolare – dice dalla sua casa di via fratelli Rizzi con il
Benedict sotto il braccio – per far capire le potenzialità di questa storia che mi è venuta
in mente dieci anni fa».
Le idee al cineasta di San Giuliano non mancano, anche se
confessa di non volerle più portare avanti a Roma, città pur amata e necessaria
come Parigi. Perché la bussola del cinema non punta più al Tevere. Nel
frattempo Cotti confessa comunque di essere in una fase di piena ideazione e di
mettere al centro il progetto di Benedict, una sceneggiatura premiata al
Baffilm Festival del 2007 da una giuria con Furio Scarpelli in tolda. Benedict
è sostanzialmente un film che unisce due robusti ingredienti della macchina delle
emozioni: il viaggio e il viaggio sentimentale.
I due pilastri ruotano attorno ad una di quelle cose che
esistono soltanto in Italia: San Fratello in Sicilia, un paese del Sud in cui
si parla un dialetto del nord e in cui è venerato il primo santo di colore
della Chiesa cattolica, San Benedetto il Moro (1524/1589) nativo del posto, poi
diventato patrono dell’America Latina. In “Benedict” i personaggi sono molti ma
le redini dell’intreccio stanno in mano ai due coprotagonisti:
Benedict, sei anni, bambino “globalizzato” newyorkese che va
a San Fratello, paese del bisnonno e
del Santo di cui porta il nome senza saperlo. Un viaggio che
nasce piagnucolando e finisce che non vorrebbe più andarsene. Poi Maria Rosa, anche
lei emigrante al contrario (cioè ritornante); anche lei inizialmente obbligata
a tornare in una terra rimossa dal presente e poi sempre più magica, labirintica.
È un soggetto con molti spunti interessanti in cui (a raffinazione avvenuta della
sceneggiatura) si possono individuare intrecci di temi sia alti che popolari.
Ci sono il paesaggio siciliano, il dialetto affondato nel passato remoto; il
bambino, la storia d’amore che rinasce. Ma anche il “nostos”, il ritorno già
della concezione greco omerica (e che è l’emigrante se non un moderno Ulisse?),
poi l’incredibile storia del “santo nero” Benedetto, il messaggio di pace.
«Definisco questo film un’iniziazione alla vita – riflette
lo stesso Cotti – per il piccolo protagonista Benedict è sostanzialmente una festa prima della vita. E per
tutti è un inno alla Sicilia terra ideale». A patto di non sovraccaricare il progetto
di “messaggi”, Benedict ha molte chances da giocare.
fonte di Emanuele Dolcini
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