Se è vero che
negli anni ‘50 del secolo scorso l’Italia del sud ha registrato un
esodo di massa, è anche vero che le migrazioni della
gente del sud
ebbero inizio nella seconda metà del sec. XIX, con
l’unificazione dell’Italia. Prima le migrazioni avvenivano in
senso inverso: la gente del nord si spostava al sud. La
presenza dei dialetti galloitalici nel sud Italia e
nelle isole ne sono testimonianza.
Sotto il
profilo ambientalistico l’area dei Nebrodi, insieme ai
Peloritani e alle Madonie,
custodisce ancora quanto resta della foresta più
antica d’Europa e dobbiamo augurarci che la
consapevolezza degli abitanti di queste zone
prevalga sulle tentazioni di cercare occasioni di
lavoro dietro false e devastanti azioni criminali.
La copiosa arte
sacra presente nell’area nebrodense è stata ben
evidenziata da molti studiosi e non sono mancate le
occasioni per sottoporla all’attenzione della comunità della
storia dell’arte. Un’importante rassegna in tale
senso è stata realizzata nel 1998 a Tindari dove
sono state esposte 150 opere pittoree e
scultoree provenienti da 42 comuni della Diocesi di Patti e
“appartenenti a otto secoli di storia” che rappresentano “la civiltà
dei Nebrodi, espressa dalla chiarità bizantina,
dalla linea di Antonello, dall’armonia dei Gagini”.
Così si legge
nell’Introduzione del bel libro “Arte sacra sui Nebrodi” pubblicato nello stesso anno
dalla suddetta Diocesi a cura di Basilio Scalisi e Giovanni
Bonanno, e che contiene saggi di valenti scrittori come
Melo Freni, Salvatore Di Fazio ed altri, oltre a quelli dei
due curatori.
Tra i vari pittori,
citati da Salvatore Di Fazio nel saggio “Il tessuto
socio-religioso dei Nebrodi”, che hanno lasciato la loro
impronta nell’area dei Nebrodi, c’è Fra’ Emanuele da Como. Un nome,
questo, che forse poco dirà alla maggioranza dei lettori.
Sicuramente gli archivi del Convento di San
Fratello dovrebbero avere una sua biografia. Ma
temo che, e qui il tempo c’entra poco, tutto
sia andato perduto oppure, e me lo auguro,
sarà gelosamente conservato.
Chi era
dunque questo pittore francescano? Facendo un
passo indietro bisogna dire che in passato i
pittori di grido lavoravano alle corti dei re o al
servizio di ricchi committenti, anche religiosi, e si
muovevano in base alle loro richieste attraverso i
vari stati, ivi compresi quelli che
costituivano l’Italia del XVII secolo. Così ci capita di
trovare affreschi di uno stesso pittore in
chiese o palazzi che si trovano a nord e a sud della
nostra penisola. La stessa cosa è avvenuta per i
conventi che sebbene non appartenessero alla categoria dei
ricchi committenti, hanno potuto permettere la
realizzazione di opere pittoriche con fondi propri,
oppure grazie al mecenatismo dei fedeli.
Quanto agli artisti occorre dire
che i Francescani hanno una tradizione già dai tempi
del Beato Angelico. In Sicilia poi vantano perfino l’influsso
esercitato su Antonello se, come ipotizza Giuseppe Miligi in
“Francescanesimo al Femminile” (EDAS, Messina 1993), ha
verosimilmente raffigurato nelle sue Annunziate il
volto della messinese Santa Eustochia, suora clarissa, ed
abbia dato disposizione testamentaria di essere “seppellito
nel convento di Santa Maria di Gesù vestito del
saio di quei frati”.
Dunque il
particolarissimo pianeta francescano è costellato di
artisti che hanno fatto parte dell’Ordine o
sono stati molto vicini alla “spiritualità francescana”.
Emanuele da Como era francescano e passò la sua vita
operando all’interno delle strutture possedute dall’Ordine. Le
notizie in mio possesso sono frammentarie ma
sufficienti a ipotizzare i suoi spostamenti attraverso l’Italia
e a ricostruire un suo percorso artistico.
La scheda
Fra’ Emanuele nasce a Como
nel 1625 e gli storiografi continuano a chiamarlo “da
Como” perché così si firma nelle sue pitture, tranne una volta,
in un quadro del 1670 dove si firma “fratrem Emanuelem de Riva Como”,
forse per precisare meglio il luogo di
provenienza oppure il nome della sua famiglia, che ci
è ancora sconosciuto. “Fin da fanciullo, scrive P.A. Orlandi (1),
vedendo certi pittori dipingere nel Duomo della
sua città, tanto s’innamorò del disegno, che da
sé riuscì pittore”. Presto abbraccia l’Ordine Francescano
consacrandosi come fratello laico, e a Como lascia
una Cena nel Convento di S. Croce,
trasferita successivamente nel Seminario Vescovile della
stessa città.
È del 1644 un suo il
quadro in rame che rappresenta la visione della
regola e situato sull’altare nella cappella di S. Michele Arcangelo a
Rieti. La
sua formazione artistica avviene a Messina intorno al
1655 dove frequenta la bottega di Agostino Scilla. P. B. Bagatti ci
fa sapere (2) che “Nella metà del sec. XVII Agostino Scilla, pittore e
scienziato, aveva aperta a Messina una scuola che in breve tempo
divenne non solo fiorente, ma anche la più numerosa di
tutte le altre. La frequentarono Giacinto Scilla, fratello di
Agostino, Michele Maffei, Cristoforo Lo Monaco, Antonio La Falce, Antonio
Madiona, Giuseppe Balestieri e vari altri”.
Nel periodo della
sua permanenza in Sicilia, Fra’ Emanuele dipinge, a Messina,
gli affreschi del chiostro del Convento di S. Maria in
Porto Salvo, che ricoperti di calce durante l’alloggiamento
delle truppe inglesi agl’inizi del 1800 (3),
saranno distrutti insieme al Convento dal
terremoto del 1908.
Nello stesso periodo esegue gli affreschi del
chiostro del Convento francescano di San Fratello,
già decadenti nel 1930 (4) ed ora ridotti al lumicino; un
trittico che si conserva nella Chiesa maggiore di
Enna che raffigura Gesù in croce con Mosè e
Geremia e vari misteri del Vecchio Testamento e un
quadro con la Madonna degli Angeli che si
conserva nella chiesa omonima di Petralia Sottana (5).
Madonna con Bambino, San Lorenzo e Santa Chiara". Emanuele da Como, 1670/71 |
San Michele Arcangelo con gli Arcangeli Raffaele e Gabriele". Emanuele da Como, 1670/71 |
Vergine Maria che dona un pomo a San Francesco |
Il Bambino Gesù appare a Sant'Antonio". Emanuele da Como, 1670 |
Nel 1660 Fra’ Emanuele
viene chiamato dai Francescani di Chieri (Torino) per
dipingere la pala dell’altare maggiore, dove raffigura
la Natività con angeli che annunciano la pace
agli uomini di buona volontà.
Tra il 1660 e il 1663 il
pittore si trova ad Assisi dove affresca i pennacchi della
cupola grande rappresentandovi i quattro Evangelisti, ma nulla
resta a causa delle infiltrazioni d’acqua. Nel 1663
viene ampliata la Cappella del SS. Sacramento della cattedrale di
San Rufino della stessa città e l’artista francescano
sarà chiamato per dipingere l’Ultima cena, collocata sopra l’organo.
Ritorna a Dongo (Como)
dove dipinge a fresco il chiostro e i corridoi del
convento che terminerà nel 1670 e che fra i tanti
affreschi di Fra’ Emanuele ancora sono in buono stato. Nel periodo 1670-1671 si
trova alla Verna per riaffrescare (6), insieme con Baccio Maria
Bacci, il corridoio che unisce la
chiesa delle Stimmate con quella Maggiore. Fra’ Emanuele
raffigura gli stessi soggetti del chiostro di
Dongo ma di formato più grande ed un numero di scene superiore: 21
quadri di circa 3 metri l’uno, 73 scene di
ispirazione storica e leggendaria sulla vita di San Francesco.
Dividendo ogni quadro con putti “recanti in mano
i cartelli illustrativi formanti come una serie di
festoni” (7).
Purtroppo le intemperie e
i successivi restauri approssimativi poco ci
hanno tramandato delle pitture originali,
infatti tranne due
gli altri sono stati sostituiti. All’ingresso delle
“Stimmate”, affresca la Madonna della Scala con a lato Santa
Chiara e S. Lorenzo; dipinge il quadro di S. Antonio per la
Chiesa Maggiore e S. Michele Arcangelo per una cappella della
stessa chiesa.
Nel 1672 lo troviamo a
Roma, chiamato da P. Patrizio Tjrell guardiano del
Convento di S. Isidoro al Pincio, per dipingere l’Aula magna della
Scuola francescana fondata da Luke Wadding.
Strutturalmente gli affreschi dell’Aula sono così suddivisi:
dietro la cattedra, in alto, l’Eterno Padrecon
la Vergine Immacolata; in basso ai lati: S. Francesco e S.
Antonio, più a destra Duns Scoto e sulla parte sinistra S.
Bonaventura. Nella parete opposta, la scena del Wadding al
lavoro in biblioteca insieme ad alcuni collaboratori, e un
frate su una scala intento a prelevare libri dagli scaffali.
Sulla parete di sinistra sono affrescati i ritratti di
alcuni religiosi intenti a studiare nelle loro celle,
mentre sulla parete di
destra sono raffigurati alcuni emeriti vescovi irlandesi. Un lungo cartiglio in
corrispondenza di ogni personaggio riporta i meriti relativi.
Nella chiesa di S. Francesco a Ripa, sede della
Provincia francescana, affresca con Santi la volta e
i pennacchi della prima cappella di destra. Nel periodo 1674-1701 Fra’
Emanuele, seguito da numerosi frati artisti ed artigiani,
fa il giro dei Conventi di Roma e
dintorni lasciando ovunque quadri ed affreschi. Si
notano i quadri di S. Antonio nel Convento di
Salivano e in quello di Mentana; in Frascati
i Martiri Gorgomiesi; nella chiesa di S. Maria a
Poggio di Soriano: la Vergine seduta col Bambino
sul ginocchio destro e l’Eterno Padre. Nel 1684 il Card.
D’Estrées lo invita a copiare alcuni capolavori di
scuola italiana, tra i quali L’ultima Comunione di S.
Girolamo del Domenichino, oggi nella Pinacoteca Vaticana.
Nel 1686 va a Parma dove dipinge
il Martirio di S. Placido della chiesa dell’Abbazia di S. Giovanni. Altri lavori si
trovano nei Conventi della
Provincia francescana romana. Nel 1681 dipinge la pala
dell’altare dell’infermeria del Convento di San Francesco a Ripa, che
raffigura S. Diego mentre unge gli infermi con
l’olio della lampada che arde davanti al quadro di Maria
Immacolata. Nel 1689 esegue il quadro a olio che
raffigura S. Vito Martire ordinatogli da P. Lodovico da
Modena, Guardiano del convento, per la chiesa di Artena. L’anno dopo
disegna S. Giovanni da Capistrano, inciso poi dal Billj, e
dipinge a olio una Cena di Nostro Signore (m. 2 x
3,75) per il Convento di Rocca Antica; il quadro collocato a
dimora nel 1692 ora si
trova nel Seminario Lateranense. Nello stesso convento esegue una
grande tela con S. Francesco e S. Chiara ed angeli.
Nel 1696 termina
la Cena per il Refettorio del Convento di S. Francesco a
Ripa. Comincia ad affrescare l’intero chiostro con
personaggi illustri dell’Ordine francescano: santi, prelati, artisti,
terminando con una grande Crocefissione nella quale sono raffigurati anche martiri francescani.
I personaggi sono raggruppati “in base alla dignità e
al sapere”. In ogni lunetta viene raffigurata una persona a
mezzobusto; negli incroci dei corridoi è riportato un
avvenimento storico. I colori: rossi per i cardinali,
marrone per i frati, drappi dorati per
i grandi del Terz’Ordine. Nella cornice una
descrizione particolareggiata illustra i soggetti. L’intera
opera è datata 16 giugno 1700.
Fra’ Emanuele muore a Roma
il 18 febbraio 1701, all’età di 76 anni. Il pittore francescano,
avendo fatto voto di povertà, lavorò gratis.
Ciò spiega secondo il
Bagatti perché nei registri dei vari conventi non
si fa menzione ad uscite per la realizzazione delle opere.
Una pittura ingenua (si
dia a questo termine il significato di spontaneità) il
cui fine è quello di
proporre momenti particolari della vita francescana, molto
spartana. V’è abbondanza di cartigli (una caratteristica di
questo pittore che mi sentirei di definire un
anticipatore della grafica fumettistica)
entro i quali sono riportati cenni alla vita
e alle virtù dei personaggi raffigurati.
La sorte della
maggior parte dei suoi affreschi sembra segnata fin
dal momento della loro esecuzione:
essendo affreschi effettuati su
pareti esterne l’azione delle intemperie li ha rovinati.
Le informazioni che abbiamo
sull’artista provengono da l’Abecedario pittorico dell’Orlandi e
dalla Storia Pittorica dell’Italia del Lanzi (Firenze 1834) e
l’unico studio critico di una certa importanza è un
articolo del Mauceri contenuto nell’Allgemeines Lexikon der
bildenden Künstler pubblicato nel 1914.
Sotto l’aspetto strutturale,
l’artista “rivela una padronanza del disegno e della prospettiva, che
conferiscono alle scene movimento e vivacità”. I
singoli episodi della vita di S. Francesco trasbordano dalle cornici,
ornate con gusto classico, per vivere nei putti e
nei corpulenti angeli. Festoni di fiori e di
frutta appesi alle cornici e alle volute danno un
tocco festoso al tutto.
È necessario fare una
distinzione tra l’arte liturgica e quella narrativa, tra le tele a
olio e gli affreschi eseguiti dal pittore. Le tele in
genere sono destinate a pale di altare,
mentre i secondi sono utilizzati per
i chiostri o luoghi similari. Nella prima
espressione artistica, Fra Emanuele rispetta la tradizione iconografica del
suo tempo, popolando i suoi quadri con teste di
angeli, nuvole, fondi scuri. Nella seconda è autonomo,
specialmente nei ritratti. Usa pennellate larghe e
decise, anche se non sempre ottiene l’effetto di
rilievo marcato. La tavolozza tende ad una prevalenza di
colori freddi.
Gli affreschi del Convento di San Fratello
Purtroppo gli affreschi del
Chiostro di San Fratello che raffigurano santi e
martiri dell’ordine di S. Francesco, alla data
odierna sono quasi inesistenti. Fino agli anni ’50 del
secolo scorso la condizione di molti dipinti era
ancora accettabile. L’ingresso del chiostro era privo d’infissi
ed alcuni locali, situati all’interno dello stesso,
erano occupati dalla caserma dei Carabinieri, con relativa camera
di sicurezza, dalla banda musicale, dalla confraternita dei
“babalucci” che cantavano le laudi durante la
processione di Venerdì Santo, da una
classe delle scuole elementari, dalla Canonica e
dai magazzini dell’olio proveniente dai terreni della chiesa.
La situazione negli anni ’60-70 era molto cambiata. I Carabinieri si erano trasferiti in altri locali e nel chiostro si poteva giocare a pallone. Così il danno che non è stato fatto in quasi due secoli è stato fatto in un paio di decenni, e non certo per colpa soltanto delle intemperie. Come si suol dire “scappati i buoi si chiudono le stalle” e, meglio tardi che mai, negli ultimi anni del 1900 si è proceduto ad un restauro conservativo, quasi impossibile, e a mettere un cancello all’ingresso. Sarà così possibile vedere ciò che è rimasto, ma sicuramente d’interesse per la storia della pittura “francescana” e per un raffronto con quanto a San Fratello potesse essere visto in opposizione alla sontuosità barocca della chiesa di San Nicola di Bari, ora demolita e ricostruita in altro sito del paese.
Opposizione proverbiale che divise per secoli i fedeli appartenenti alla Chiesa Matrice, demolita dalla frana del 1922, sotto la cui giurisdizione era il Convento, e i “santanicolesi”. Un contrasto che non doveva essere del tutto estraneo, almeno in principio, a quanto propugnato dalla Controriforma, proclamata dal Concilio di Trento del 1563, a seguito della quale le arti si posero come uno strumento efficace per ostentare la supremazia spirituale della Chiesa nei confronti del Protestantesimo.
Anche San Fratello ha avuto la sua parte: una chiesa, quella di San Nicola, ricca di stucchi e ori, e il chiostro del Convento affrescato da frate Emanuele con figure sobrie ed essenziali, ma ricco di spiritualità. Un pretesto valido per dividere il popolo in due opposti schieramenti – una consuetudine finita con l’avvento del Fascismo – e rivendicare vicendevolmente e spesso in maniera violenta il possesso dei simulacri durante le processioni.
È eloquente ciò che si narra a proposito della festa di San Francesco, soppressa durante il periodo fascista per ragioni di sicurezza. Il comandante della locale stazione dei Carabinieri, tale maresciallo Francesco Sgarlata, al rientro della processione finita, ancora una volta, in rissa nella centralissima contrada “Portella”, ebbe a dire rivolgendosi alla statua del santo: “Francesco! Com’è vero che io mi chiamo Francesco, finché resterò a San Fratello, tu non uscirai più di chiesa!” E così avvenne anche dopo il trasferimento del sott’ufficiale promosso al grado superiore.
1 P.A.
Orlandi, Abecedario pittorico, Firenze 1788.
2 Bellarmino Bagatti
o.f.m., Fra’ Emanuele da Como – Miscellanea Francescana, Roma 1935, che si
rifà a F. Hackert, Memorie dei
pittori Messinesi, Napoli 1792.
3 Messina e dintorni,
Guida a cura del Municipio, Messina 1902.
4. La notizia la
riporta B. Bagatti nel suo libro citato,
previa comunicazione del 3 febbraio 1930 da parte dell’arciprete
di San Fratello.
5-6 B. Bagatti, op. cit.
7. Il
corridoio inizialmente era stato affrescato da un
pittore del ‘500, ma i dipinti andarono perduti a causa
dell’umidità.
[pubblicato sul n. 4
di “Pagnocco”, gennaio aprile 2005 – Messina]
San Fratello: Fra’ Emanuele da
Como, chi era costui?
di Benedetto Di Pietro
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