Nassiriya nove anni dopo

Il ricordo di Ivan e delle vittime della strage del 12 novembre 2003


E' il 12 novembre 2003 il 'giorno nero' per la missione italiana in Iraq. Quella mattina, in un attacco alla base Maestrale a Nassiriya, morirono 19 italiani (12 carabinieri, 5 soldati e due civili). 

La missione militare era iniziata pochi mesi prima, a giugno. A provocare la strage, un camion imbottito di esplosivo lanciato a tutta velocità contro la palazzina di tre piani che ospitava i carabinieri della Msu (Multinational specialized unit). La più grande disgrazia per le forze armate italiane dalla fine della seconda guerra mondiale.


Un cratere si è formato nel luogo dell' esplosione. Sotto le macerie sono rimasti 12 carabinieri della Msu (Enzo Fregosi, Giovanni Cavallaro, Alfonso Trincone, Alfio Ragazzi, Massimiliano Bruno, Daniele Ghione, Filippo Merlino, Giuseppe Coletta, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Horatio Maiorana, Andrea Filippa); cinque uomini dell' esercito (Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Emanuele Ferraro, Alessandro Carrisi e Pietro Petrucci); due civili, il regista Stefano Rolla, che stava facendo un sopralluogo per un film sulle missioni di pace e l'operatore della cooperazione internazionale Marco Beci.




sopra le immagini del funerale di Ivan Ghitti svoltosi a San Fratello

Piazza Ghitti a San Fratello


Il ricordo di Ivan Ghitti
Trent’anni, ma già con una lunga esperienza alle spalle. Ivan Ghitti, nato e cresciuto a Milano da una famiglia di origine di San Fratello, era carabiniere dal ’93: ausiliario a Roma, dove aveva fatto la leva dopo il diploma in ragioneria, aveva poi rinnovato il suo arruolamento rinunciando a finire l’università, e ormai da anni era in servizio al 13° Reggimento Friuli-Venezia Giulia di Gorizia.

Quella telefonata che non arriva più
Eccolo lì. Il vicebrigadiere Ivan Ghitti, fino a ieri mattina, era la foto di un ragazzo di trent’anni che suonava la chitarra seduto sulla branda. O magari l’altra, che lo ritraeva in occhiali neri e mimetica, sorridente in riva al mare, durante un addestramento o una delle sue missioni, chissà. Era soprattutto, per i suoi genitori qui a Milano, poterne aspettare la telefonata che anche l’altra sera, come era successo sempre, ripeteva loro «tutto bene...».
Basta. Adesso, il vicebrigadiere dei carabinieri Ivan Ghitti è una cameretta vuota al secondo piano di una palazzina in via Bacchiglione, dalle parti di corso Lodi, con appesi alle pareti gli attestati e gli encomi già avuti in passato per il suo lavoro. Èd è una sorella che si sforza di tenere gli occhi asciutti mentre dice ai giornalisti «mio fratello era una persona eccezionale». Ivan Ghitti, uno dei morti di Nassiriya.

Fino alle due del pomeriggio, aggrappati al telefono e allo stillicidio del bollettino aggiornato via via, avevano continuato a sperare: «L’avevamo sentito per telefono appena l’altra sera, era tranquillo, non può essere...». Finché invece il loro citofono è suonato e la speranza della famiglia Ghitti si è spezzata: «Dobbiamo confermarvi che purtroppo — ha detto loro un ufficiale dell’Arma — tra le vittime dell’attentato giù in Iraq c’è anche il vostro Ivan».

La città in cui si era trovato una ragazza, e da dove anche per questo motivo tornava a Milano regolarmente sì, ma non spessissimo: «Qui lo conoscevamo tutti — dicono i vicini sotto casa — ed era un ragazzo gentile, straordinario, il figlio che ogni famiglia vorrebbe...». «Uno che soprattutto — ripete un amico uscendo dalla palazzina — credeva in quello che faceva».
E infatti ne aveva già fatte altre tre, di missioni all’estero. Tutte in Bosnia. «Questa era la sua quarta», spiega il maggiore Andrea Chittaro ai cronisti che assediano la palazzina. L’ingresso è presidiato da due militari, a proteggere lo strazio di una famiglia che non ha nessuna voglia di esibirlo davanti a taccuini e telecamere.

Ed è solo dopo l’insistenza del maggiore che Mary, la sorella di Ivan, accetta di dire due parole in cambio della promessa che quell’assedio abbia fine. Dice che l’ultima sua telefonata, appunto, era arrivata l’altra sera: «E lui era sereno e tranquillo. Ci diceva sempre che la zona in cui si trovava non era considerata particolarmente rischiosa...». Telefono, ma anche email: erano quelli i canali di comunicazione tra Ivan e i suoi.

Laureata in Scienze politiche, un lavoro in banca, Mary parla con gli occhi rossi di chi piange ormai da ore senza però volerlo fare adesso, non ora mentre racconta di quel fratello che «era contento di esser là in Iraq», perché «quello era il suo lavoro e la sua vita».
Le esperienze già vissute in Bosnia erano state per lui un arricchimento, «la sensazione di fare qualcosa di utile per la gente»: e anche parlando al telefono da Nassiriya, dice Mary, Ivan non aveva mai manifestato alcuna preoccupazione particolare, niente che non fosse la quotidianità di un contesto difficile, certamente, ma in qualche modo considerato meno rischioso rispetto alla realtà di altre zone neanche troppo distanti. Lui era partito tre settimane fa.

Il suo rientro era previsto tra qualcosa come quattro mesi. La stessa durata media delle missioni precedenti, spiega Mary. «Scrivete che era una persona eccezionale», ripete. Fa una pausa, prima di concludere: «Siamo fieri e orgogliosi di lui». Vorrebbero chiederle di raccontare qualcosa di più, di quel ragazzo: una selva di microfoni puntati vorrebbe conoscere aneddoti, storie, frasi, altri pezzi di quella vita finita... Ma per Mary è sufficiente così, il vicebrigadiere Ghitti è morto: e la sua vita non riguarda la gente. Si scusa e torna in casa.
Che è un appartamento piccolo, i genitori suoi e di Ivan, pensionati, sono «persone stupende e semplici», come insistono a descriverli i vicini: e il loro dolore preferiscono tenerlo chiuso dietro la porta. Gli unici che riescono a varcare quella soglia, oltre ai parenti e agli amici più stretti, sono coloro che alla famiglia Ghitti portano il cordoglio delle istituzioni. Prima il sindaco Gabriele Albertini, poi il presidente della Provincia, Ombretta Colli. E naturalmente gli ufficiali dell’Arma, a cominciare dal comandante provinciale, colonnello Cosimo Piccinno.

È buio quando i fotografi, sempre in cambio della promessa di non insistere oltre, ottengono quel paio di immagini di Ivan da riprodurre sui giornali. Quella con la chitarra e l’altra in divisa, in riva al mare. Chissà dov’era quando gliela scattarono.

Nei giorni scorsi la famiglia Ghitti ha voluto rinnovare una splendida iniziativa in ricordo del figlio, consegnando presso la Scuola Alessandro Manzoni di San Fratello le "borse di studio Ivan Ghitti". La salma del giovane militare riposa presso il Cimitero Monumentale di San Fratello.


Commenti