di SAN FRATELLO OF FACEBOOK (Pagina Facebook).
"E’ il primo
santo negro canonizzato dalla Chiesa. Egli nacque a San Fratello, nei pressi di
Messina, nel 1524, da africani venduti schiavi in Sicilia. Suo padre,
Cristoforo Manasseri, aveva ereditato il nome dal padrone, e aveva sposato
Diana Larcari.
Entrambi erano ferventi cristiani, iI loro primogenito, Benedetto, fu affrancato e allevato con cura nella pietà e nell'amore di Dio. Fin dall'età di dieci anni manifestò una tale spiccata tendenza per la solitudine e la penitenza, che i suoi conoscenti presero a designarlo con l'epiteto: "il santo moro".
Invece di frequentare la scuola
Benedetto dovette condurre al pascolo il gregge che suo padre aveva in
custodia. Benché sprovvisto di scienza umana, sotto la guida dello Spirito
Santo egli fece rapidi progressi nella scienza divina.
Il lavoro non gl'impedì di darsi
incessantemente alla preghiera e alla meditazione. Sovente i compagni lo
deridevano, lo ingiuriavano, gli facevano ogni sorta di dispetti, ma egli
sopportava tutto con pazienza e cercava di non prendere parte ai loro giuochi
per non turbare la solitudine, tant'era grande il bisogno che sentiva
d'intrattenersi in pensieri di cielo.
A diciott'anni Benedetto era già in
grado di provvedere da sé alle sue necessità e a quelle dei poveri. Facendo
economie era riuscito a comperare un paio di buoi. Preoccupandosi di compiere
la volontà di Dio nella condizione in cui lo aveva fatto nascere, egli era
contento della sua sorte e non pensava a cambiare stato.
Con la pietà santificava le più umili
occupazioni. Effettivamente mentre con le mani lavorava per procurarsi il cibo
corporale, con lo spirito s'infervorava alla considerazione delle verità
eterne. In tale maniera egli fu un costante esempio di laboriosità e di
religiosità ai paesani. Tuttavia il Signore lo chiamava a un genere di vita
molto più perfetto.
Nei dintorni di San Fratello viveva un
giovane signore, chiamato Girolamo Lanza. Dopo aver venduto i suoi beni, con il
consenso della moglie, costui si era ritirato nell'eremitaggio di Santa
Domenica per condurvi una vita penitente, simile a quella degli antichi monaci
della Tebaide e santificarsi seguendo alla lettera la regola di S. Francesco
d'Assisi (11226).
Un giorno, mentre camminava per la
campagna, vide dei mietitori che si burlavano di Benedetto. Lo guardò
fissamente in volto, e sotto i lineamenti di un negro, egli scoprì un'anima
quanto mai candida. Volgendosi allora a quegli insolenti, disse: "Voi vi
fate beffe di questo povero negro, ma sappiate che ben presto udirete parlare
della sua fama".
Rivolgendosi poi al capo dei lavoratori
aggiunse: "Vi raccomando Benedetto perché tra non molto tempo mi verrà a
raggiungere per farsi religioso". Alcuni giorni dopo Fra Girolamo andò a
trovare il "santo moro" nella capanna che abitava. "Che cosa fai
qui, Benedetto? - gli chiese -. Vendi i tuoi buoi e vieni nel mio
eremitaggio".
Molto più generoso del giovane ricco del
Vangelo (Lc. c. XVIII) il servo di Dio accolse subito con generosità
quell'invito. Benché i buoi, frutto dei suoi sudori, rappresentassero per lui un
grande valore, credendo di udire la voce di Gesù Cristo che gli parlava per
bocca dell'eremita, andò subito a venderli, ne donò il prezzo ai poveri e, con
il consenso dei genitori, raggiunse Fra Girolamo nell'eremitaggio.
La vita del "santo moro"
divenne nella solitudine un continuo esercizio di penitenza. Spietato con il
proprio corpo, egli indossò un abito fatto con foglie di palma, si nutrì di
legumi, si dissetò con acqua. La buona fama di quei penitenti non tardò a
divulgarsi nei dintorni e la gente cominciò ad affluire al loro eremo per
chiedere consiglio e preghiere.
Benedetto e i suoi compagni, temendo di
dissiparsi a quell'afflusso di devoti, si ritirarono prima nella vallata di
Nazara e, dopo otto anni, nella solitudine di Mancusa. In seguito ad un
miracolo che quivi Benedetto compì, i malati cominciarono ad accorrere a lui da
ogni parte. Gli eremiti decisero allora di trasferirsi presso Palermo, sul
Monte Pellegrino, già santificato dalla presenza di S. Rosalia.
Colà si costruirono delle povere celle,
e con l'aiuto del viceré di Sicilia, fecero edificare una cappella e un
serbatoio di acqua. Alla morte di Fra Girolamo gli eremiti scelsero Fra
Benedetto come loro superiore. Egli fece ad essi da guida fino al 1562,
allorché da Pio IV furono riuniti all'Ordine Francescano con la revoca
dell'autorizzazione loro concessa da Giulio III nel 1550.
Il santo veramente aveva pensato di
entrare tra i Cappuccini ma, dopo aver pregato Maria SS. in un santuario di
Palermo, si rivolse ai Frati Minori dell'antica Osservanza i quali lo
ricevettero nel loro convento di Santa Maria di Gesù come semplice fratello
laico. Per tre anni i superiori lo mandarono a Sant'Anna di Giuliana, addetto
ai più umili servizi, poi lo richiamarono a svolgere le funzioni di cuoco a
Palermo, a Santa Maria di Gesù, dove visse fino alla morte.
Severo con se stesso, Fra Benedetto fu benevolo
verso i confratelli, condiscendente alle loro necessità. Nella misura del
possibile si adoperava per preparare quanto sapeva essere di loro gradimento.
Durante un capitolo provinciale, essendo stata sospesa la questua a causa di
una eccezionale nevicata, le provviste nel convento vennero a mancare. Il cuoco
non perse la sua abituale serenità.
Prima del riposo notturno, un giorno,
con il suo aiutante, riempì di acqua i vasi più grandi che si trovavano in
cucina, poi, con una sconfinata fiducia nella Provvidenza divina, si pose in
preghiera per tutta la notte. La mattina dopo si recò con il suo aiutante in
cucina e trovò nei vasi tanta quantità di pesci ancora palpitanti che bastarono
al fabbisogno di tutta la comunità.
Un giorno di Natale egli si era lasciato
assorbire talmente dall'orazione, che si dimenticò di preparare il pranzo al
quale doveva prendere parte anche l'arcivescovo di Palermo, venuto a officiare
nella chiesa del convento. Fra Benedetto come al solito non perdette la fiducia
in Dio. Disse ai confratelli che potevano ugualmente prendere posto in
refettorio e, in un batter d'occhio, servì loro le pietanze preparate alla
perfezione da due giovani vestiti di bianco, apparsi nella cucina.
Miracoli di tal genere si rinnovarono diverse volte
per intercessione del "Santo Moro". Non meraviglia quindi che il
capitolo generale del 1578, avendo eretto in Casa di riforma il convento di
Santa Maria, abbia sentito il bisogno di nominare Guardiano l'umile Benedetto,
benché non sapesse né leggere, né scrivere. Costui supplicò, scongiurò di
essere esonerato da quella carica dicendo che non era conveniente che alla
testa di religiosi sacerdoti fosse posto un fratello laico.
Per vincere la sua resistenza gli fu
dato il precetto in virtù di ubbidienza. Il modo di governare di Fra Benedetto
giustificò in pieno la scelta dei superiori. Rispettoso verso i padri,
caritatevole verso i fratelli, condiscendente verso i novizi, il nuovo
Guardiano fu da tutti rispettato, amato e ubbidito senza che nessuno fosse
tentato di abusare del suo spirito di umiltà.
Un giorno gli capitò di punire un
novizio per una colpa grave della quale in seguito fu riconosciuto innocente.
Il santo, appena conobbe lo sbaglio, si inginocchiò davanti al novizio e, con
ammirazione ed edificazione di tutta la comunità, gli chiese perdono.
Da tre anni Fra Benedetto era Guardiano
di Santa Maria, quando dovette recarsi al capitolo che si teneva ad Agrigento.
La folla fu tanto numerosa sul suo passaggio che parecchie volte egli dovette
fuggire per evitarla, oppure camminare durante la notte. Ad Agrigento fu
ricevuto in trionfo. L'entusiasmo popolare era provocato dai miracoli che il
Santo operava a favore dei malati e dei poveri. Sembrava infatti che il cielo
gli avesse dato ogni potere sulla vita e sulla morte.
La fiducia che Fra Benedetto riponeva in
Dio per tutte le più svariate necessità non aveva limiti. Al fratello portinaio
aveva raccomandato di non rifiutare l'elemosina ai mendicanti che si
presentavano. Un giorno costui, avendo costatato, dopo una distribuzione di
pane, che gliene restava appena a sufficienza per la refezione dei religiosi,
aveva rimandato a mani vuote un certo numero di poveri. Benedetto,
incontratili, li ricondusse al convento e disse al portinaio: "Poco
importa che i pani siano appena sufficienti per i confratelli. Fate l'elemosina
a questi bisognosi e la Provvidenza di Dio non verrà meno". Il portinaio
ubbidì e al momento della refezione si costatò che nella madia c'erano più pani
di quanti non ce ne fossero prima della distribuzione.
Fra Benedetto diede ai suoi religiosi
l'esempio di tutte le virtù. Egli era il primo al coro, agli esercizi della comunità,
nella visita dei malati, nei lavori più umili e più pesanti. Allo scadere della
carica, i confratelli, per non separarsi da lui lo nominarono successivamente
vicario e maestro dei novizi.
Nel dirigerli egli diede prova di una
inalterabile dolcezza e di una consumata prudenza. I novizi trovarono in lui
una guida sicura, un consigliere illuminato, un padre pieno di tenerezza. Dopo
Mattutino era solito spiegare loro le lezioni della Sacra Scrittura recitata
nel coro, e svilupparne il senso con una sorprendente facilità.
Egli possedeva in modo manifesto il dono
della scienza infusa. Gli capitò infatti di dare risposte molto acute a maestri
di teologia venuti per consultarlo. A tale dono si univa quello della
scrutazione dei cuori. Più di una volta gli capitò di svelare ai novizi le
tentazioni che non osavano manifestargli e di aiutarli a superarle.
Da maestro del noviziato Fra Benedetto
ridivenne cuoco. Egli fu felice di ritrovare la vita di nascondimento che aveva
sempre desiderato. Anche in cucina però fu assediato continuamente da ricchi e
da poveri. Per ubbidienza riceveva tutti e a tutti rispondeva con inalterabile
pazienza.
Nel suo grande spirito di mortificazione
fu sempre fedele alle sette quaresime annuali, sull'esempio di S. Francesco. Il
tempo che gli rimaneva libero, e buona parte della notte, lo impiegava a
pregare per la conversione dei peccatori e le necessità della Chiesa.
Nel mese di febbraio del 1589 il santo
cadde gravemente malato, e Dio gli rivelò che si avvicinava il termine della
sua vita. Quando ricevette gli ultimi sacramenti, S. Orsola, verso la quale
nutriva una grande devozione, gli apparve inondando la cella di una luce
meravigliosa. Morì il 4-4-1589. Pio VII lo canonizzò il 24-5-1807. Le sue
reliquie sono venerate a Palermo nella chiesa di Santa Maria di Gesù. Benedetto
XIV ne aveva riconosciuto il culto il 15-5-1743".
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