Fra Giuseppe ci tiene a sottolineare che è di San Fratello come lo era San Benedetto il Moro.
di
Fabio Russello.
I
seguaci di San Francesco hanno aperto il convento a migranti e indigenti. Ecco
le loro storie. Non lo dicono, perché non si dice, ma al convento di
Sant'Antonio dei frati minori francescani di Favara sono sicuri o quasi: Papa
Francesco quando ha parlato di aprire i conventi ai migranti ed ai bisognosi
deve avere letto sull'Osservatore Romano la notizia del progetto la «Tenda di
Abramo» che si sta svolgendo proprio lì a Favara.
Ad
un certo punto all'ora di pranzo arriva addirittura un tizio che chiede ai
frati di benedire l'auto che si è appena comprato: «Certo, ma torna verso le 5
del pomeriggio. Pace e bene». «Questa non è una comunità - spiega fra Giuseppe,
42 anni, originario di San Fratello e anni di missione in Marocco - ma una
fraternità, è una vera missione. Qui tutti, noi frati e i sedici fratelli che
stanno con noi, ci prodighiamo per mandare avanti il convento».
Il
progetto si chiama «Tenda di Abramo» perché Abramo è il patriarca riconosciuto
anche dall'Islam e dagli ebrei ed è partito alla fine del 2011. «Ma noi non
accogliamo solo stranieri - ha detto fra Giuseppe - ma anche tanti favaresi».
Fra Giuseppe ci tiene a sottolineare che è di San Fratello come lo era San
Benedetto il Moro: «Forse era destino che nella mia missione dovessi stare insieme
agli stranieri. E ricordo anche che la Madonna di Tindari è nera. San Benedetto
ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vita».
La
giornata dei frati comincia presto: sveglia alle 6, già alle 7 c'è la messa
celebrata da fra Salvatore, nel frattempo si chiamano i ragazzi, poi si
comincia a lavorare. C'è da badare all'orto, agli animali, c'è da radunare le
provviste, lavare il bucato, cucinare, sistemare e ripulire il convento che è
anche grande, nel pomeriggio e alla sera le orazioni, il rosario, il vespro. La
vita si svolge tra preghiera, lavoro e amore verso il prossimo. «A volte è
difficile - dice fra Giuseppe - ma questo si può fare solo se nel volto degli
altri vedi il volto di Gesù. Altrimenti è solo filantropia. Ricordiamo il
Vangelo di Matteo, ero forestiero e mi ha accolto».
Qui
ci sono al momento sedici «fratelli». Sono nigeriani, nigerini, maliani,
afghani, romeni. Ci sono cattolici, musulmani e ortodossi. Al mattino sono già
tutti all'opera. Chi pensa agli animali, chi a piccoli lavori di manutenzione
del convento. A pranzo cucina Benjamin, nigeriano, cristiano pentecostale. Riso
e fagioli. Gli africani sono arrivati in Sicilia tutti attraverso Lampedusa ed
a bordo di un barcone. Per loro la roulette russa della traversata del Canale
di Sicilia è stata fortunata: sono riusciti ad approdare. Mandano qualche
decina di euro alla famiglia. Li guadagnano lavorando alla giornata,
presentandosi in piazza Itria a Favara, alle 6 del mattino. Passano i caporali
e guadagnano 30 o 40 euro per una giornata di lavoro nei campi. Pranzano nel
refettorio tutti insieme. Solo un paio di volte la settimana i frati mangiano
al piano di sopra: «Tra di noi - spiega Fra Giuseppe - dobbiamo anche parlare
su ciò che c'è da fare nei giorni successivi».
E
mentre si mangia ci sono i racconti delle vite degli stranieri che hanno
trovato un tetto e una speranza qui dai frati. Reza ha 26 anni. Viene
dall'Afghanistan e il suo viso lascia pochi dubbi per capire da quale parte
arriva: ha i lineamenti asiatici e infatti lui stesso spiega che il suo
villaggio è nella parte centrale del Paese. Ha lasciato l'Afghanistan
martoriato dai talebani prima e dalle bombe alleate dopo, per rifugiarsi prima
in Iran con i genitori, poi il tentativo di trovare il suo futuro in Europa.
Un'odissea:
«Sono arrivato fino a Patrasso dove c'è la nave per Ancona. Mi sono messo sotto
un camion, appoggiato all'asse delle ruote. Se ho temuto di morire? No, ma è
stata dura. Le braccia si addormentavano. Ora aspetto il 25 marzo quando
dovrebbero prendere una decisione sul mio permesso. Vorrei studiare e lavorare.
Io musulmano? Io non credo a niente». E poi c'è Paolo. La sua è una storia
incredibile. «Fino a metà anni Ottanta - ha raccontato - ho solo giocato a
calcio e sono arrivato anche nella serie A della Romania, nel Brazov. Avevo
denaro e case, una moglie ed anche due figli. Poi a 33 anni mi sono rotto il
menisco, ho dovuto smettere di giocare e mia moglie si è portata via i figli e
i miei soldi. Ho giocato anche contro Fiorentina e Juventus. A 35 anni ho cominciato
a bere e a fumare. Sono finito in Turchia, poi qui, non ho più niente e nessuno
ormai mi vuole per lavorare». Nel convento lui si occupa insieme ad altri di
accudire agli animali: oltre alle caprette ci sono conigli e galline.
«Il
convento va avanti grazie alla generosità di tanti favaresi - ha spiegato fra
Giuseppe -. Spesso non ci dicono che vogliono aiutarci, ma lo fanno». E infatti
il convento non compra il pane perché arriva dai panifici, la spesa è limitata
perché molti privati o supermercati forniscono quello che possono. Dove ci sono
difficoltà ci pensa la Onlus dei frati minori intitolata a Michele Allegra il
frate che ha tradotto la Bibbia in cinese. Pure il veterinario è giunto in
convento gratis attraverso degli amici. E' arrivato per controllare due
caprette: una sta poco bene, l'altra forse è incinta. Nel frattempo i ragazzi
tutt'intorno sono impegnati. Chi con la carriola e la pala, chi con il forcone
per mettere paglia fresca anche ai conigli. Il freddo e pungente, perché il
convento si trova su una collinetta che sovra Favara. I frati sono
rigorosamente con i sandali e senza le calze, i ragazzi hanno invece indosso
qualcosa di più pesante. Sopra il saio magari i frati mettono una giacca se
devono state fuori. Ma sui sandali e i piedi nudi non si transige. [fonte: La Sicilia]
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