Siamo in guerra ma non si dice

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Il Pentagono vuole il Muos in Sicilia. La coalizione ha bisogno del grande radar sull’isola che diventerà un punto strategico delle missioni in Medio-Oriente.

Salvatore Parlagreco.
Ashton Carter, sottosegretario alla difesa degli Stati Uniti, è volato in Sicilia, prima che a Roma. Ha visitato la base di Sigonella, e assai probabilmente, l’ha preparata alle prossime impegnative missioni. Siamo alla vigilia di una svolta nelle operazioni belliche in Medio Oriente.

Dopo il lungo sonno, la Nato ha scelto di fare sul serio con i tagliagole dell’Isis. Mentre Washington e Bruxelles erano sopiti, Putin è entrato nell’enclave siriana e ha preso in mano le sorti del conflitto, martellando le posizioni dei nemici di Assad e gli uomini del Califfato. Due piccioni con una fava. Washington e Bruxelles pagano così la loro latitanza, divenendo comprimari nel conflitto. E ora hanno due problemi, l’Isis e l’ingombrante presenza russa, il cane da guardia del regime siriano.

Ci sarà perciò un gran da fare anche in Sicilia. La concorrenza russa non può essere combattuta, ma superata senza danni. Non è guerra fredda, né guerra calda, la coalizione internazionale opera in una terra di mezzo nella quale può succedere il finimondo. Contenere i russi, cacciare via Assad e sconfiggere il Califfato sono gli obiettivi “impossibili” di Obama e della coalizione internazionale. Ci vorrebbe la lampada di Aladino per venirne a capo.

La strategia bellica appartiene al Pentagono, che guida la coalizione, ma la cabina di regia, le decisioni più delicate, last minute, dovranno essere assunte e rese operative in Sicilia, a Sigonella, Birgi e Pantelleria. Da qui partono le missioni.

Ashton Carter non si è limitato al solito fervorino nell’Isola, il briefing con i capi, e le parole di circostanza per i sottoposti, ma avrebbe spiegato la diversa qualità dell’impegno richiesto alle forze militari statunitensi nel teatro di guerra mediorientale.

Lasciata la Sicilia, il sottosegretario alla Difesa è andato nella Capitale per incontrare il collega italiano, Roberta Pinotti, con la quale ha parlato, com’è noto, dell’operatività dei tornado italiani, dislocati in Kuwait, ma anche – ufficiosamente – dell’operatività del sistema satellitare globale di Niscemi. Sul Muos, com’è noto, è in corso un contenzioso nel Consiglio di Giustizia amministrativa, la sede di appello dei tribunali amministrativi regionali.

La coalizione ha bisogno del grande radar e dei tornado finora impiegati in missioni di ricognizione, più del primo che dei secondi in verità. Come fa il ministro a spiegare che il sistema radar siciliano non può entrare in attività perché i giudici amministrativi non sanno che pesci pigliare ed hanno messo in pausa, di fatto, l’iter procedurale?

Accanto a Sigonella, Birgi e Pantelleria, c’è Niscemi e la sua operatività è in cima ai pensieri del Pentagono. Palermo e Roma su questo problema tacciono per evitare invasioni di campo – spetta ai giudici decidere – , ma la questione è diventata tremendamente seria e qualcuno dovrà prendersi la responsabilità di affrontarla. Coniugare la sicurezza ambientale con la difesa delle persone e del territorio non è semplice, ma essenziale.

Il teatro di guerra mediorientale è il più pericoloso focolaio del mondo, il peggiore da settanta anni a questa parte. Ed il ruolo strategico della Sicilia è diventato centrale. Sarebbe bene che se ne accorgessero anche a Palermo.

Fonte: siciliainformazioni.it


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