CINEMA
Io credo che si reciti solo nella vita, mentre nell’arte si persegue solo la verità. Al Pacino.
Marco Palano.
Quando ci si appresta a parlare di Al Pacino, ci si
rende immediatamente conto che è assurdo anche solo pensare di condensare
in poche righe la sua vita e la sua carriera. Oggi infatti non parliamo di
un qualsiasi interprete di talento, ma di una vera e propria colonna
portante della Settima Arte, che ne ha attraversato quasi 50 anni di storia
imponendosi come uno dei migliori attori di sempre, regalando al mondo
personaggi da antologia protagonisti di storie indimenticabili.
Inutile snocciolare cifre e statistiche, perché i
numeri possono solo svilire la storia di Alfredo James Pacino, che
racconta di come un ragazzo nato nel 1940, che non ha mai rinnegato le
proprie origini italiane (i nonni paterni erano di San Fratello in provincia di
Messina e quelli materni di Corleone), sia riuscito a superare una difficile
giovinezza, fatta di piccola criminalità e lavoretti per tirare a
campare, per poi conquistare con le unghie e con i denti un posto al
sole nel campo della recitazione, raggiungendo i più prestigiosi riconoscimenti
per cinema, televisione e teatro, compreso quel tanto agognato Oscar, che
vergognosamente gli è stato conferito soltanto a 53 anni di età.
Gli esordi e il grande successo de Il padrino
Dopo una piccola parte d’esordio in Me, Natalie (1969)
e il primo ruolo da protagonista nel discreto Panico a Needle Park (1971), Al
Pacino entra nella storia del cinema dalla porta principale con Il
padrino (1972), che insieme al seguito Il padrino – Parte II (1974)
gli permette di essere diretto da un maestro come Francis Ford Coppola e di condividere il set con altri
attori eccezionali come Marlon Brando, Robert De Niro, Robert Duvall, Diane Keaton e l’amico John Cazale. Il suo
Michael Corleone è un personaggio indimenticabile per ogni cinefilo, che
nell’arco di due film passa dall’essere un giovane e inesperto figlio,
cresciuto con amore e rispetto del padre boss mafioso, al prendere il posto del
genitore a capo dell’organizzazione criminale, trasformandosi in un cinico e
spietato gangster. Al Pacino ha così modo di dimostrare le sue doti
nel tratteggiare i personaggi e nel rendere un’ampia gamma di emozioni e
sfumature, giustificando così il suo ingaggio a sorpresa, a discapito di
colleghi più quotati, dovuto proprio alle sue origini siciliane, a cui, in un
curioso incrocio fra arte e vita reale, l’attore si ricongiunge visitando
proprio quella Corleone terra natia dei nonni materni. Nel 1973, fra i primi
due memorabili episodi de Il Padrino, il giovane attore ha modo di
cimentarsi anche a fianco di Gene Hackman nell’ingiustamente dimenticato Lo
spaventapasseri (1973), vincitore come miglior film a Cannes, e nel capolavoro
di Sidney Lumet Serpico, in cui presta il proprio volto al toccante
racconto di una storia vera di corruzione all’interno della polizia di New
York.
Da Quel pomeriggio di un giorno da cani
a Scarface: i tanti volti di un attore poliedrico
Arriva nel 1975, nuovamente per la regia di Sidney
Lumet e a fianco di John Cazale, una delle migliori
interpretazioni di tutta la carriera di Al Pacino, ovvero quella dello
stralunato rapinatore di banche Sonny Wortzik in Quel pomeriggio di
un giorno da cani, altra pellicola ispirata a un fatto di cronaca realmente
avvenuto. L’attore dà il suo meglio nei panni di un antieroe per cui lo
spettatore non può fare a meno di parteggiare, che nel corso del film rivela
anche un lato umano e sentimentale diametralmente opposto alla figura del
criminale. Grazie alla sua prova per Al Pacino arriva la quarta
nomination all’Oscar consecutiva, che neanche in questo caso si trasforma in
statuetta solo a causa dell’altrettanto strepitosa performance di Jack
Nicholson nel pluripremiato Qualcuno volò sul nido del cuculo. Seguono quindi quattro
film in cui l’attore si cimenta nei generi e nei ruoli più disparati:
pilota di Formula 1 in Un attimo, una vita (1977) di Sydney
Pollack, avvocato contro il sistema in …e giustizia per tutti (1979)
di Norman Jewison (per il quale conquista una quinta nomination
all’Oscar), poliziotto infiltrato in Cruising (1980) di William Friedkin e anche padre casinista e combinaguai
nella commedia sentimentale Papà, sei una frana (1982). È invece
nel 1983, con Scarface di Brian De Palma, che l’attore consegna alla storia del
cinema un altro gangster indelebile nella memoria degli appassionati, il cubano
Tony Montana. Al Pacino si supera nuovamente, dipingendo la figura di
un altro malavitoso completamente diverso da Michael Corleone, protagonista di
una splendida parabola sull’ascesa e sull’inevitabile caduta nel mondo del
crimine. Un vortice di droga, brutalità e violenza che trova la sua massima
espressione nello strepitoso finale, che consegna per sempre alla storia una
pellicola ancora oggi adorata dai cinefili di tutte le età e fonte di
ispirazione per innumerevoli gangster movie successivi.
La seconda metà degli ’80 e l’inizio dei ’90 con il
tanto desiderato Oscar
Nella seconda metà degli anni ’80, Al Pacino rallenta
i propri ritmi lavorativi, prendendo parte solamente al film storico Revolution (1985)
e al dimenticabile thriller Seduzione pericolosa (1989). Con l’arrivo
dei ’90 invece l’attore dimostra nuovamente tutta la sua poliedricità e la sua
voglia di sperimentazione prendendo parte a progetti di vario tipo: The
Local Stigmatic (1990), prodotto da lui stesso e basato sull’omonima piece
di Broadway, il cinecomic Dick Tracy (1990), che gli procura un’altra
nomination all’Oscar, Il padrino – Parte III (1990), con cui conclude
la saga dei Corleone, il film romantico Paura d’amare (1991), in cui
dopo Scarface lavora nuovamente con Michelle Pfeiffer, e il
sottovalutato Americani(1992), in cui si presta a un racconto di chiara
impronta teatrale, lavorando al fianco di altri mostri sacri come Jack
Lemmon, Kevin Spacey, Alan Arkin ed Ed Harris e
vedendo sfumare per la settima volta l’atteso Oscar. La tanto attesa
statuetta fortunatamente arriva, anche se con colpevole ritardo, grazie a Scent
of a Woman (1992), rifacimento americano di Profumo di donna di Dino
Risi, in cui Al Pacino convince proprio tutti nei panni del
colonnello in pensione Frank Slade, rendendo alla perfezione il suo carattere
burbero e la sua cecità e conquistando il cuore di critica e pubblico con un
memorabile monologo nella fase finale della pellicola.
Da Carlito’s Way a Ogni maledetta domenica
Pur amando diversificare e battere nuove strade, è ai gangster movie che Al Pacino ha legato
indissolubilmente la propria carriera. Non stupisce così che un’altra delle
migliori performance dell’attore di origini italiane arrivi nel 1993 da
un’altro film di questo genere, ovvero Carlito’s Way, nuovamente per la
regia di Brian De Palma. Anche questo malavitoso è completamente
differente dagli altri interpretati precedentemente da Pacino: romantico,
disincantato, malinconico e quasi rassegnato nel vedere la propria vita
tormentata da un passato da cui non riesce a prendere le distanze. Una sorta di
sequel ideologico di Scarface, che anche grazie alla memorabile prova
di Sean Penn si rivela un’altra strepitosa riflessione sul mondo
della criminalità, che tocca il proprio apice in un’indimenticabile e desolato
finale, fra le migliori scene della carriera del nostro. A seguire per Al
Pacino arrivano Un giorno da ricordare (1995) di James
Foley, ambientato durante la Grande depressione, le collaborazioni con il
regista emergente Michael Mann prima in Heat – La sfida del
1995, in cui si confronta con l’amico e rivale di sempre Robert De Niro, e
poi nel 1999 con Insider – Dietro la verità, City Hall (1996) di Harold
Becker, in cui interpreta il sindaco di New York, la sua prima prova alla regia
con Riccardo III – Un uomo, un re (1996), documentario su un suo
adattamento dell’opera di Shakespeare, l’altro gangster movie Donnie Brasco (1997), in cui fa da mentore nel
mondo della criminalità organizzata a un giovane Johnny Depp, e l’ottimo L’avvocato del
diavolo (1997), in cui al fianco di Keanu Reeves e Charlize Theron dimostra ancora una volta il suo
carisma e la sua versatilità nel difficilissimo ruolo del Diavolo in persona.
Il nostro conclude poi lo scorso secolo lavorando con un altro formidabile
cineasta come Oliver Stone in Ogni maledetta domenica (1999),
altra meravigliosa pellicola in cui interpreta un allenatore di football
americano di mezza età in uno splendido parallelismo fra sport e
vita. Nelle battute finali, Al Pacino dà inoltre il meglio di se stesso in
uno dei monologhi più celebri e citati della storia del cinema, che vi
proponiamo di seguito con la voce del grandeGiancarlo Giannini.
Dal 2000 a oggi, fra cinema e televisione
Negli ultimi anni Al Pacino ha continuato a diversificare le
proprie interpretazioni, non raggiungendo però, almeno in ambito
cinematografico, le vette toccate in precedenza. Fra le produzioni ad alto
budget, meritano comunque una citazione Insonnia (2002) di Christopher Nolan, in cui si è misurato con il disturbo del
sonno che lo ha spesso afflitto anche nella vita reale, La regola del
sospetto (2003) conColin Farrell, Ocean’s Thirteen (2007) di Steven
Soderbergh, terzo capitolo della saga della squadra di furfanti capitanata da George
Clooney, e Sfida senza regole (2008) di Jon Avnet, ancora al
fianco di Robert De Niro. In mezzo, gli interessanti esperimenti di Chinese
Coffee (2000), S1m0ne (2002), Il mercante di Venezia (2004), Wilde
Salome(2011), Uomini di parola (2012), The Humbling (2014), Manglehorn (2014), La
canzone della vita – Danny Collins (2015), ma anche i dimenticabili People
I Know (2002), Rischio a due (2005) e The Son of No One (2011).
Il nostro ha inoltre ricevuto lo smacco di ben due candidature ai Razzie
Awards, i celebri “Oscar al contrario”, per le sue partecipazioni inAmore
Estremo e Jack e Jill, conquistando anche il temuto riconoscimento
per quest’ultimo.Durante questi anni di leggero calo in ambito cinematografico,
Al Pacino ha compensato con una sempre intensa attività teatrale e con grandi
successi in ambito televisivo, partecipando a progetti di altissimo
profilo come Angels in America(2003), You Don’t Know Jack – Il dottor
morte (2010) e Phil Spector (2013), che hanno riscosso grande
consenso di critica e pubblico, portando il nostro a ricevere importanti
riconoscimenti del settore come Golden Globe ed Emmy.
Al Pacino: un’artista a tutto tondo, sempre fedele all’arte
e alla propria voce interiore
Anche se possiamo pensare che i suoi film contengano diversi
spunti autobiografici, conosciamo ben poco della vita privata di Al
Pacino, personaggio da sempre schivo e riservato, fuori dal giro dei
social e della mondanità. Quello che sappiamo lo abbiamo potuto apprendere ai
margini di interviste relative ai suoi film o di sue partecipazioni a
festival o altri eventi che mettano al centro il cinema e l’arte, per cui si è
dimostrato sempre disponibile. L’abbandono in tenera età da parte del
padre, che ha con ogni probabilità influenzato tutta la sua vita, una gioventù
passata sulla strada con frequentazioni poco raccomandabili, che gli ha
sicuramente fornito materiale per interpretare i malavitosi protagonisti di
tante sue opere, un rapporto fallimentare con la scuola, un carattere
turbolento e un grande spirito di adattamento alle condizioni più umili per
sopravvivere. Una lunga serie di relazioni confermate o presunte (Beverly D’Angelo, Diane Keaton, Penelope Ann Miller, Madonna, Lucila
Solá), tre figli, nessun matrimonio. Una coerenza verso se stesso e le proprie
idee che lo ha portato a rifiutare ruoli in film di grande successo come Star
Wars, Pretty Woman, Apocalypse Now, I soliti sospetti (suo più grande
rimpianto), Taxi Driver, Kramer contro Kramer e Incontri
ravvicinati del terzo tipo. Uno stile di vita discreto e tranquillo, fatto di
tanta lettura e un amore smisurato per il teatro e per l’opera. Forse è anche
per questo suo essere l’esatto contrario dello stereotipo della star
schiava dei capricci, dei vizi e del non necessario che Al Pacino ha saputo toccare
le corde del cuore degli appassionati e guadagnarsi la stima e il rispetto dei
colleghi e degli addetti ai lavori, dai quali difficilmente sono uscite
parole poco gentili nei suoi confronti. Dal canto nostro, non
possiamo fare altro che attendere di vedere ciò che questo fuoriclasse della
recitazione ha ancora in serbo per noi e rivivere quando ne abbiamo l’occasione
la sua incredibile carriera, fatta di personaggi veri e tridimensionali, di
antieroi squallidi e imperfetti ma non per questo meno affascinanti e di storie
universali che ci toccano il cuore e che hanno contribuito a farci
innamorare di un grande sogno a occhi aperti chiamato cinema.
fonte: cinematographe.it
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