Il nero cipresso eremita un maestro del silenzio


A Palermo nel santuario di San Benedetto il Moro.

TIZIANO FRATUS.
Arrivare al Santuario di Santa Maria di Gesù e San Benedetto Il Moro, primo santo nero della chiesa cattolica, a Palermo, è un viaggio nel viaggio. Nella piazza di fronte alla stazione dei treni ho assistito a una riunione sindacale indetta appositamente per capire precisamente dove fosse questo luogo, ma alla fine il nodo è stato sciolto. 

Gincana nell’annoso problema della città, il traffico, e arrivo nella periferia meridionale del capoluogo, Salita Belvedere. Giovane foresta di cipressi e alcuni grandi Ficus microcarpa. A lato dell’ingresso alla sacrestia c’è un cancello verde, spesso chiuso, va richiesto il permesso. Da qui si raggiunge uno spiazzo e iniziano, al fondo, i gradini che risalgono il costone boscoso del Monte Grifone. Dopo mezz’ora comoda di risalita, si arriva al punto in cui cresce il più annoso albero di Palermo: è il cipresso detto di San Benedetto Il Moro (1524-1589), a causa del colore della sua carnagione.

Benedetto da San Fratello è un figura di eremita francescano che entrò nel convento di Santa Maria di Gesù, sede dei Frati Minori, di cui sarà eletto priore. Così come la leggenda racconta che San Francesco, in Emilia Romagna, abbia piantato nella terra un bastone, 800 anni fa, da cui è sorto l’esemplare tutt’ora vivente nel chiostro del monastero di Villa Verucchio, così si tramanda l’episodio che vede protagonista, quattro secoli fa, San Benedetto, secondo cui il religioso avrebbe fatto lo stesso, quando nel suo romitaggio piantò il bastone che gli era servito per salire.  

Nel 2006 è stata eseguita un’ispezione dendrocronologica che ha definito che il cipresso che oggi cresce, lì, accanto alla cappella di San Benedetto, aveva 426 anni. Le misure ufficiali sono 23 metri di altezza e 315 cm di circonferenza del tronco, a circa due metri dal colletto. Corrispondono all’albero che si raggiunge dopo aver attraversato un bosco irregolare di pini, carrubi, ulivi e eucalipti e macchia mediterranea. E’ un maestro del silenzio, il cipresso, che si è aperto, sparando ramificazioni in ogni direzione, come a trovare un equilibrio lassù, scosso così spesso dai venti, dinnanzi alla città che nei secoli si è trasformata. Da qui osserva, ascolta, tollera. Lo splendido tramonto ci veste e dipinge d’oro, e laggiù si intravede la macchia dell’orto botanico, l’esercito di palazzine di cemento che gremiscono la città, il porto, e oltre la linea scura del bosco della Favorita. E d’intorno, la corona di montagne che cinge d’assedio la conca in cui Palermo si è ingrassata. 

Fonte: lastampa.it


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